A cura di Vic
Due sedili, una finestra, il verde. Queste le riprese da un treno in movimento lungo la Bosnia e Herzegovina, nel film di Zijad Ibrahimovic “Periferia del nulla”. Il primo lungometraggio del regista di origini bosniache, arrivato in Svizzera nel ’92, si presenta con una serie di interviste e si prolunga per 75 minuti, alla fine dei quali lo spettatore viene lasciato con un macigno sul cuore.
Oggetto delle interviste sono le vittime delle mine antiuomo, ancora presenti a più di vent’anni di distanza dalle guerre jugoslave, in zone non segnalate e pertanto estremamente pericolose. Questa è la ripercussione della mancanza di opinione pubblica a riguardo delle “armi vigliacche”, così chiamate da Cornelio Sommaruga, presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa, nel dibattito seguente al film. Le vittime sono persone che hanno vissuto una guerra più cruenta della Seconda Guerra Mondiale e che ancora ne vivono le conseguenze. Le cicatrici ancora bruciano, non solo quelle degli uomini mutilati, ma dell’intero popolo bosniaco.
“Amarezza” è l’aggettivo che accomuna le scene del film, i discorsi delle vittime e la storia di questo paese frammentato, sobborgo di un centro inesistente, completamente decentralizzato, la periferia del nulla.